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Intervento di Giacomo Poretti alla cerimonia di consegna delle Borse di Studio 2017/2018

04-07-2018 18:26

Ufficio Stampa

Tutte,

Intervento di Giacomo Poretti alla cerimonia di consegna delle Borse di Studio 2017/2018

Giacomo è salito sul palco e, dopo un momento di silenzio e di scherzoso disagio, ha esordito: «Scusate? Mi vedete? Sono qua dietro».

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(appunti non rivisti dall’autore)

 

 

Giacomo è salito sul palco e, dopo un momento disilenzio e di scherzoso disagio, ha esordito: «Scusate? Mi vedete? Sono quadietro».

Sovrastato dal leggio Giacomo ha inscenato laprima gag.

 

«Perdonate la mia doppia inadeguatezza: comeportatore sano di non altezza e nelle vesti di relatore-ospite a una cerimoniadi consegna di borse di studio. Certo che se ci fosse una pedana...». Prime risate dal pubblico.

In attesa della pedana, arriva in ritardo ilSindaco Galimberti, evento che ha acceso un simpatico “siparietto”.

 

«Si metta la – ha detto Giacomo al Sindacoindicando una poltrona fra il pubblico e non quella in prima fila – cosìalmeno mi vede».

Nel frattempo arriva la pedana e il Sindacodomanda: «Posso tornare al mio posto?». E Giacomo ironicamente risponde: «Ahhh,non le piace stare fra la gente comune, vuole il posto in prima fila, vuole ilprivilegio, è proprio un politico!». Risate a crepapelle. «Venga, vengadavanti altrimenti soffre».

Galimberti simpaticamente non solo va davanti, masi siede per terra, “ai suoi piedi”...«Ma se si mette li non mi vedecomunque, non faccia tanto il brillante e si sieda», ha chiuso la gag Giacomofra gli applausi alla “improvvisata coppia”.

«Non sono certo il più adatto – ha quindi proseguito Poretti - a parlare di scuola e di bei votia personaggi come voi che siete qui perchè siete dei fenomeni, io che non hofatto neppure l’esame di maturità! Come posso parlarvi io di scuola? La miascuola sembra collocata in un romanzo dell’ottocento, eppure era l’altroieri...La mia era la scuola dei grembiuli neri con il fiocco colorato, delpatronato scolastico che regalava le matite e i quaderni ai bambini poveri:anche a casa nostra ne avevamo bisogno, ma mia mamma mi diceva “mi raccomandonon prenderli, non dargli soddisfazione a quelli lì….”, era la scuola dove iprofessori e i maestri avevano sempre ragione, tranne quello che siaddormentava. Si chiamava Pasquale Aniello e dormiva con il capo sulla cattedratutta la mattina».

La scuola media del paese con avviamento agrarionon gli ha dato nozioni di sintassi, storia e matematica, ma sa quando piantarei rapanelli e raccogliere il melograno. Eppure Giacomo Poretti, il Giacomo checon Aldo e Giovanni compone il trio di attori comici famoso in tv, al cinema ein teatro, ha tenuto una strepitosa e divertentissima lectio magistralis atutti gli effetti (anche se non è laureato) sul perché proprio lui si trovasselì a raccontare a ragazzi studiosissimi («e che un po’ se la tirano,specialmente quelli del ginnasio» ha detto scherzando) che sono lì perchéhanno vinto una borsa di studio e sono l’orgoglio della famiglia e dellascuola.

 

«Il mio sogno era di avere una laurea infilosofia — ha detto Giacomo — giusto per vantarmi un po’. Ma a cosasarebbe servita se poi la vita mi ha portato a incontrare due analfabeti comeAldo e Giovanni?». Altre risate.

 

«E quindi, di cosa posso parlarvi io? Possoparlarvi solo come genitore; un genitore che conserva ancora il rammarico dinon aver mai conseguito la maturità scolastica, che custodisce vergognosamentel’invidia verso un qualsiasi laureato, che mantiene ancora inalterato ilfastidio verso un giovane che alla domanda “che classe fai?”, risponde “quartaginnasio”... devo pensarci cinque minuti e poi dire ...”ah terza liceo…”, “noprima liceo..!”, e allora dì prima liceo, perché devi dire quarta ginnasio conquella vocina lì, te lo dico io il perché: perché te la tiri, ecco perché...“quarta ginnasio!” ma va a cag...!». Il pubblico si scatena in un sonoroapplauso.

«Eppure - ha proseguitoGiacomo - deve esserci qualche cosa di avverso nel mio destino rispetto allascuola, perché poi l’incontro più significativo di lavoro è avvenutopraticamente con due analfabeti: ad uno in particolare, Aldo, quandofrequentava le scuole medie è stato scritto sul libretto di valutazioni finali:“Attitudini: nessuna”. E’ meglio stare attenti quando si esprimono dei giudizicosì categorici, avrebbero potuto aggiungere un … “forse, probabilmente, allostato attuale delle cose, ma forse chissà? in futuro….e invece no: attitudininessuna!».

«Io me lo immagino il collegio dei docentidella scuola di Aldo, che magari si ritrovano per una pizzata una volta ogni 10anni…”ma te lo ricordi quel terrone che scriveva ho senza l’acca, è finito intelevisione….che culo che ha avuto!” Non è possibile, secondo me Aldo deve averrubato le gomme dell’auto al Preside per essere trattato così».

Fra risate e applausi Giacomo prosegue nel suoracconto, ma... ma ecco la sorpresa: il comico fa spazio all’uomo e l’uomo sifa profondo.

 

«Trattenete l’indignazione, io e Giovanni, cheAldo lo conosciamo bene, possiamo dire che i suoi insegnanti avevano ragione…nel senso che non era tagliato per la matematica, la fisica, il passato remoto,il congiuntivo e il condizionale, ma aveva talento ed anche tanto; il problemaè scoprirlo, riconoscerlo».

Aldo, dunque, come metafora di tutti noi, ditutti quelli che non hanno ancora incontrato nessuno che li abbia “scoperti”nel talento.

«Ai miei tempi, quando suonava la campanella, alle 13, si andavacasa a mangiare dai nonni, e poi via all’oratorio a giocare fino a quandodiventava buio; il prete, che faceva da tata a tutti i ragazzi del paese,doveva scacciarti a pedate nel sedere per mandarti a casa a fare i compiti.

Ai miei tempi, oltre alle pedate del prete, dovevamo schivare anche lanoia, la solitudine; si era costretti ad usare la fantasia perché i giocattolierano uno, massimo due, bisognava sempre escogitare qualche cosa per divertirsiperché l’Ipad non c’era e i corsi di pianoforte e karate poteva permetterselisolo il figlio del dottore. Ora è tutto diverso.

Mio figlio già dalle elementari aveva 5 insegnanti, Aldo ne ha avuti 3in tutta la vita.

Mio figlio il lunedì ha inglese, il martedì immagine e disegno, ilmercoledì attività motorie, il giovedì musica; adesso stanno valutando per ilvenerdì di introdurre analisi dei prodotti finanziari, hedge found e future.

Un pomeriggio ha il corso di nuoto, un altro scuola di calcio e forselo iscriveremo a deltaplano spericolato, ma... solo perché lo fa il suo amicomigliore.

Però vedete, a parte l’ironia, la cura con cui lui e i suoi amicivengono seguiti, l’attenzione, la dedizione che ci mettono tutte le maestre, nonpuò che essere un’opportunità incredibile per loro: se hanno un talento, e daqualche parte c’è, perché tutti ce l’hanno, anche Aldo, se sei aiutato saltafuori. E poi vedete, il talento non è quella cosa che appartienesolo ai geni e agli artisti, il talento è l’ingegno, la predisposizione, sono le nostre capacitàintellettuali o manuali rilevanti; il talento è la nostra inclinazione, ilnostro istinto, la nostra voglia, il nostro desiderio; i talenti sono i simbolidei doni che Dio ci ha fatto».

«Il talento - haproseguito Poretti - non lo posseggono solo gli artisti bizzarri edeccentrici. Tutti hanno i loro talenti, perché bisogna possedere del talentoper fare bene qualsiasi professione. Da come si orienta il tuo sguardo dipendeil destino della tua vita».

«Che lavoro difficile educare. Cheresponsabilità! Sia come genitori, sia come educatori. Penso ad esempio agliinsegnanti: devi proprio amarlo il tuo lavoro per stare lì tutti i giorni con deibambini che scrivono la I che sembra un tronco di ulivo, chehanno solo voglia di alzarsi e giocare; devi essere appassionato dellaconoscenza, delle cose straordinarie della vita, per poterle trasmettere; macome si fa ad appassionarli alle stelle e ai pianeti se tu stesso non haidentro un brivido tutte le volte che guardi in alto; come fai a tenerli lì deibambini di 6 anni e raccontargli dei microbini, e dei batteri, quelli che tifanno venire il mal di gola come a Filippo e poi deve prendere l’antibiotico,se non sei curioso del mistero e della perfezione del nostro corpo? Come si faa spiegare ad un ragazzo che è preferibile essere onesto piuttosto che essereun ladro, che argomenti devi escogitare per spiegargli che è ingiusto rubare lamerendina del tuo compagno o le matite del suo astuccio, se non possiedi dentroun progetto di bene e di giustizia; quanto devi essere appassionato dellinguaggio, della comunicazione tra esseri umani per poter insegnare una linguastraniera? E soprattutto quanto devi essere bravo per insegnare una linguaostica come l’inglese: l’altro giorno mio figlio mi ha detto “papi, i am sotired, i go to bed”, gli ho risposto “yes, quas quasi vegni anca mi”». Il pubblico ride e non si stanca di ascoltare.

«Ho dovuto ammettere che non è l’inglese adessere difficile, diciamo che non posseggo il talento per le lingue. Come èdifficile educare! Ma contemporaneamente come deve essere facile seentri in contatto con i loro desideri, che è sempre desiderioincommensurabilmente di immenso.

Perché, io non sono un filologo, non posseggo nemmeno questo talento,ma mi sembra di intuire che c’è differenza tra istruire ed educare: se vogliosolo istruirti mi attengo a procedure e programmi, ed è giusto e così bisognafare; ma se voglio anche educarti devo avere un progetto, devo avere uno scopo,di più, educandoti devo introdurti alla realtà ed inevitabilmente si entra incontatto con se stessi.

E qua si fa tutto difficile e delicato perché stiamo con la nostrafragile libertà di fronte all’insondabilità dell’altro».

«Non deve essere stato facile stare davanti all’insondabilità diAldo, come di chiunque altro, ma forse se sei disposto a guardare e stare inascolto, forse, dall’insondabilità di un ragazzo può emergere paura, timidezza,inadeguatezza.

Se ci si attiene soltanto alle procedure, c’è solo da sperare che lamateria insegnata attecchisca e basta; invece se vuoi educare sei costretto astare su quella soglia di insondabilità tu e lui, ed entrambi, nella fiduciareciproca che si può instaurare e che va incoraggiata, possonodialogare, a quel punto anche l’insegnante cresce perché è costretto dallacircostanza a comprendere i meccanismi di difficoltà e a diventare creativo peraiutare il ragazzo ad esprimere tutta la sua particolarità e originalità».

«Non serve essere geni: il talento è ingegno,predisposizione, capacità, inclinazione, istinto, curiosità. Doni che Dio ci hadato e che possiamo mettere alla prova ogni giorno, nella normalità delquotidiano».

E ha aggiunto: «La scuola talvolta giudica controppa fretta. E’ la vita la prova d’appello del nostro talento. Occorrecredere di più in noi stessi.

Credo che la cosa più grande sia lasciarlo andare il proprio figlio,privarsi come genitore di quella simbiosi tenera e protettiva e lasciarloandare verso il suo fiorire, verso la sua straordinaria unicità, aiutarlo inquesto progetto alleandosi con la scuola».

Giacomo ha quindi concluso con un’esortazione cheha il sapore di una grande speranza: «Abbiamo un’insondabile responsabilitàrispetto ai nostri figli e al loro futuro: noi genitori, insieme aglieducatori, agli insegnanti, abbiamo la possibilità di accendere in loro ildesiderio di cose meravigliose, perché tutti quanti siamo assetati di infinito,perché queste cose la vita si porta dentro nella sua insondabilità, perchétutti quanti genitori, insegnanti, figli, e anche Aldo, si portano dentro unaserie di attitudini... infinite!».

 

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