Seconda puntata dell'inchiesta sulle materie prime: quando il prezzo sale ecco come correre ai ripari.
Oggi vediamo i consigli degli esperti Cesare Pozzi, docente di Economia Industriale alla Luiss di Roma e Fabio Montobbio, professore di Economia Industriale all’Università Cattolica di Milano.
Alcuni spunti per affrontare il problema del rincaro delle materie prime
L’altalena delle materie prime sale, ma non scende. E’ una questione di speculazione internazionale che, afferma Cesare Pozzi, docente di Economia Industriale alla Luiss di Roma, "vede in questo aumento un’opportunità per la finanza: le imprese si sono bloccate, ma quando ripartiranno avranno un gran bisogno di materie prime. E ci sarà una vera corsa all’approvvigionamento".
Inoltre, "l’Italia ha ridotto la sua presenza sui mercati in cui riesce a trasferire l’incremento dei prezzi. Negli ultimi vent’anni, il Paese ha perso il 15,5% della sua produzione manifatturiera in un mondo in cui il valore del manifatturiero è raddoppiato. Così, ha perso spazi nei mercati finali e si è concentrata su quelli di produzione intermedia accentuando la sua struttura da terzista», rimarca il professore. Come controbattere all’aumento delle materie prime? «Alcune imprese potranno ridurre i margini, anche se di poco. Altre non lo potranno fare. E di certo l’Italia non si può permettere un’ulteriore riduzione del costo del lavoro. Rischiamo la desertificazione: nel 2019, 125mila ragazzi se ne sono andati dall’Italia per lavorare altrove".
LE CAUSE: SPECULAZIONE, “EFFETTO AMAZON” E SUPPLY CHAIN DEBOLI
Speculazione, ma non solo. La parola non manca di stuzzicare anche le riflessioni di Fabio Montobbio, che Economia Industriale la insegna all’Università Cattolica di Milano. E che sostiene, in linea con Pozzi, l’importanza di capire prima le cause del problema per poi arrivare a quelle soluzioni che potrebbero essere praticate dalle piccole e medie imprese, il target più colpito da questo rialzo.
Da un lato "alcuni fornitori restringono l’offerta e alzano i prezzi, generano collusioni tacite e speculazioni sugli asset finanziari legati alle materie prime, dall’altro – commenta il docente – si esauriscono gli stock, la ripresa c’è, in alcuni Paesi emergenti aumenta la domanda e quindi i prezzi volano". Però, il problema si allarga con la complicità dell’aumento dei trasporti internazionali e con il cambiamento dei consumi durante la pandemia. «E’ l’“effetto Amazon” sui settori che operano negli imballaggi: più acquisti online hanno aumentato le consegne e la quantità di materia prima per il packaging. La domanda si trasforma», rimarca il docente.
Da ultimo, le Pmi hanno meno accesso ai fornitori e, di fronte alla pandemia, le global supply chain non hanno avuto la flessibilità necessaria a garantire un’offerta a prezzi ragionevoli per tutti.
LE SOLUZIONI: CREDITO, FLESSIBILITA’ E ADDITIVE MANUFACTURING
Le soluzioni per le Pmi non sono immediate, ma i docenti ne elencano alcune sulle quali riflettere:
Montobbio - Le imprese in crisi causa pandemia non possono essere aiutate con finanziamenti temporanei. È giusto dilazionare la scadenza dei debiti e agire sui costi fissi, ma si deve intervenire anche su tutti quegli aspetti istituzionali legati al funzionamento dei mercati finanziari.
Pozzi - Bisogna operare affinché i soldi delle banche centrali arrivino all’economia reale riducendo i costi per le imprese e rendendo tutto più snello. Ma ad essere aiutate, prima di tutte, devono essere quelle imprese che generano valore. Anche per il territorio.
Montobbio - Contratti di consegna dei prodotti: sono stati siglati in un momento in cui i prezzi delle materie prime erano nettamente inferiori rispetto alle quotazioni di questo periodo. Alcune imprese ritardano la consegna, altre non riescono a stare nel budget definito in precedenza e abbandonano la commessa. Nei contratti, soprattutto in quelli pubblici, si devono introdurre elementi di flessibilità laddove questa flessibilità non c’è.
Montobbio - Cercare fornitori più economici sui mercati internazionali. Questa potrebbe essere una valida soluzione a patto, però, che si riesca a trovare una vera opportunità. Le imprese si muoveranno a macchia di leopardo, perché alcuni settori saranno più veloci e riusciranno a sfruttare quei fornitori esteri che venderanno a prezzi più bassi per guadagnare quote di mercato. Bisogna puntare sulla propria flessibilità imprenditoriale.
Pozzi – Scontiamo la mancata riorganizzazione del sistema imprenditoriale che avremmo dovuto predisporre trent’anni fa. L’Italia deve tanto importare quanto esportare, perché ci mancano materie prime di tutti i tipi.
Montobbio - L’impresa deve guadarsi in giro, ma non lo deve fare da sola. Reti e consorzi possono evitare comportamenti opportunistici da parte di fornitori che, sui mercati locali, hanno posizioni di forza.
Pozzi - La rete appartiene alle Pmi: le grandi aziende fanno solo da ombrello protettivo.
Montobbio - Collusione. Le imprese che si accorgono che a monte ci sono restrizioni dell’offerta per tenere i prezzi alti devono cercare di coinvolgere l’Antitrust.
Montobbio - Reshoring. Le imprese che fanno ritorno in madre patria possono affidarsi all’additive manufacturing per cambiare le tecnologie di produzione, diversificare le materie prime utilizzate e affrancarsi dalla dipendenza dell’approvvigionamento estero. Le nuove tecnologie aiutano le aziende a ridurre proprio quei costi che erano stati il primo motivo di delocalizzazione.
Pozzi - Non basta investire per generare valore. Oggi non ci si deve concentrare sulla fretta di investire ma sulla scelta dell’investimento, per mettere risorse in quegli ambiti che generano valore per il territorio e rafforzano le filiere. Questo permette alle imprese di mantenere la forza del Made in Italy, che è espressione di prodotto unico.
Montobbio - I Paesi emergenti, che sono causa di questo rincaro, potrebbero anche essere parte della soluzione. La stessa Cina, che ha grosse scorte pubbliche di materie prime, potrebbe immetterle nel mercato. Ed è quello che sta cercando di fare proprio per frenare l’aumento dei prezzi.
(2. continua).